All’inizio del 1974 l’accusa di ricostituzione del partito fascista raggiunse i militanti di Avanguardia Nazionale. Attentati dinamitardi firmati Ordine Nuovo furono compiuti a Milano, Bologna e Ancona. Ma fu soprattutto Brescia l’epicentro delle azioni fasciste. I piani di questi gruppi erano chiari per ammissione degli stessi imputati: provocare, attraverso azioni e attentati in Valtellina – all’indomani del referendum sul divorzio – una guerra civile destinata ad estendersi a tutto il Paese. L’obiettivo era sempre lo stesso: creare una situazione in cui i militari sarebbero stati costretti ad intervenire e successivamente appoggiare una Repubblica Presidenziale neoautoritaria.
Nella notte tra il 18 e il 19 maggio salta in aria in piazza Mercato, a poche centinaia di metri da piazza della Loggia, il giovane neofascista Silvio Ferrari, mentre trasportava sulla propria motoretta un ordigno esplosivo. Nello stesso momento, in un’altra zona della città, un auto targata Milano con a bordo quattro neofascisti, si schianta contro un muro, il conducente muore all’istante. Nel portabagagli viene rinvenuto materiale propagandistico del MSI. Per il giorno seguente è prevista una manifestazione di ex-combattenti della Repubblica Sociale Italiana. L’intento è quello di compiere un attentato per poi fare cadere le responsabilità sui gruppi della sinistra extraparlamentare. Il sindacato decide per una manifestazione pubblica e di massa, partecipata. Viene decisa l’astensione dal lavoro di quattro ore per il giorno 28 maggio, con manifestazione in piazza, promossa dal Comitato Unitario Antifascista. La mattina del 28 lentamente si formano i concentramenti in piazzale Repubblica, porta Trento e piazza Garibaldi, luoghi dai quali muoverà il corteo antifascista per confluire in piazza della Loggia.
Nessuno sa ancora che il 21, due giorni dopo la morte del neofascista Silvio Ferrari, e il 27, il giorno prima della manifestazione, sono pervenute alle redazioni di due quotidiani locali messaggi anonimi, così come ad alcune autorità, in cui si minacciano stragi e devastazioni imminenti. I giornali, d’accordo con la questura e il prefetto, non pubblicano la notizia per non creare allarme. Prende la parola il primo degli oratori – Franco Castrezzati, a nome della federazione unitaria dei metalmeccanici – che ricorda il malessere della città per la lunga sequela di attentati e provocazioni fasciste. Cita la Costituzione nata dalla Resistenza partigiana e dalla lotta di liberazione dal nazifascismo, che mette al bando la ricostituzione di partiti fascisti, e ricorda come l’allora leader del MSI, Giorgio Almirante, sieda in Parlamento nonostante ai tempi della Repubblica Sociale Italiana ordisse fucilazioni e repressioni. Il sindacalista fa appena in tempo a citare la parola Milano, che alle 10.12 in punto un’esplosione devasta una colonna del loggiato sotto il quale si erano rifugiati centinaia di lavoratori per ripararsi dalla pioggia.
La bomba, un chilo di tritolo, scoppia violentemente. Su quella colonna si era appoggiato Luigi Pinto che morirà l’1 giugno, a causa delle ferite riportate, con la schiena dilaniata dalle schegge di marmo.
Pinto era iscritto al sindacato scuola della CGIL. Di famiglia proletaria aveva lasciato Foggia subito dopo il diploma e lavorato dapprima come operaio in uno zuccherificio, quindi minatore in Sardegna, fino al primi incarichi come insegnante di Applicazioni tecniche nella scuola media che lo portarono a Rovigo poi a Ostiglia, infine a Silviano di Montisola, in provincia di Brescia. Nel settembre del 1973 aveva sposato Ada, una compagna della scuola, anche lei militante comunista.
Dopo i funerali celebrati a Foggia, davanti ad un’immensa folla commossa e preoccupata, la sua città di origine gli ha dedicato un importante viale.
La Flc Cgil gli ha fatto erigere un monumento, disegnato dall’architetto Michele Sisbarra, mentre il regista foggiano Lucio Dell’Accio ha realizzato su Luigi Pinto e sulla strage di Brescia l’apprezzato documentario Scene di una Strage.
Maurizio De Tullio