Nicola Di Stefano è nato il 5 agosto 1926 a Rocchetta S. Antonio. Da giovanissimo lavora come bracciante agricolo e nelle ferrovie come personale viaggiante, approdando presto alla politica. Già nel 1944, si iscrive al Partito comunista, diventandone il responsabile giovanile, e viene chiamato a far parte del Comitato di Liberazione locale.
Nello stesso periodo fa anche le sue prime esperienze sindacali dentro gli organismi dirigenti della Camera del Lavoro. Sono anni di forte disoccupazione, causata dal ritorno dei reduci e da una grave siccità. Si sviluppano forme originali di lotta che interessano prevalentemente il Subappennino dauno fondate sull’occupazione delle terre e delle masserie.
Nel corso di queste lotte Di Stefano conosce ben presto il carcere. Una prima volta nel maggio del 1945 e successivamente l’anno appresso con l’accusa di violazione di domicilio, sequestro di persona per aver partecipato ad uno sciopero a rovescio, che era la forma di lotta più diffusa in quel periodo soprattutto nelle zone del Subappennino per costringere gli agrari a coltivare i terreni e ad utilizzare la manodopera.
L’anno seguente subisce di nuovo il carcere per oltraggio e resistenza alla forza pubblica e viene condannato a otto mesi e mezzo di reclusione con il beneficio della condizionale, ma in appello il reato viene dichiarato estinto per intervenuta amnistia in quanto considerato reato politico.
L’esperienza di dirigente sindacale subisce un’interruzione perché chiamato nel settembre 1947 a prestare servizio militare prima a Palermo, successivamente a Roma e poi in Friuli. Durante questo periodo, Di Stefano continua a tenere contatti con l’organizzazione di partito sia a Roma che a Pordenone.
Posto in congedo, ritorna nella sua Rocchetta dove è eletto segretario della sezione del PCI e nello stesso tempo responsabile della Camera del Lavoro e qui guida le lotte per l’imponibile di manodopera.
Nel giugno 1949 subisce un nuovo arresto ad Ascoli Satriano dove si era sviluppato un ennesimo sciopero dei lavoratori agricoli e per l’occupazione di terre. Processato, viene assolto per insufficienza di prove. Dopo l’esperienza di segretario della Camera del Lavoro di Rocchetta entra nell’apparato provinciale della Federbraccianti e successivamente è eletto componente della segreteria provinciale.
Insieme al lavoro sindacale Di Stefano comincia le sue prime esperienze anche all’interno delle istituzioni. Nel maggio 1952 è eletto consigliere comunale, un incarico che manterrà per circa quaranta anni; nel 1960, diventa consigliere provinciale in rappresentanza del collegio Ascoli Satriano-Candela-Rocchetta S.Antonio.
Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta svolge la sua attività all’interno della Federbraccianti provinciale, fino all’incarico di segretario provinciale, in difesa della condizione dei braccianti, per migliorare le condizioni lavorative e salariali. Dopo l’esperienza sindacale Di Stefano viene destinato nella seconda metà degli anni Sessanta a dirigere per un certo periodo l’Alleanza Contadini provinciale al fine di dar luogo a quella organizzazione autonoma dei contadini che era stato il sogno di Ruggero Grieco.
Dopo la stagione delle lotte per la terra e quella delle rivendicazioni di nuove condizioni di vita e di lavoro nelle campagne, una stagione di lotta poderosa si sviluppa in provincia di Foggia: insieme alla mobilitazione per il rinnovo del contratto di lavoro, nasce un movimento per l’utilizzazione in loco del metano da poco scoperto del Subappennino Dauno.
Presto la mobilitazione si trasforma in lotta contro la spirale del sottosviluppo, che si traduce nella più alta partecipazione, pacifica e democratica, sviluppatasi negli ultimi quaranta anni in quel comprensorio, e che conosce il suo apice nella marcia su Foggia di trentamila persone (contadini, ragazze, donne, studenti, ecc.) convenute da ogni parte del Subappennino per richiedere l’impiego in loco del metano, la trasformazione dell’agricoltura, l’irrigazione e la creazione di attrezzature: strade, case, ospedali, scuole e asili.
Di questo straordinario e massiccio movimento di lotta, ordinato e pacifico, sviluppatosi senza assalti né incendi ai municipi, Nicola Di Stefano è uno dei grandi protagonisti insieme ad altri dirigenti sindacali come Vincenzo Giusto di Ascoli Satriano o Donato Fragassi, originario di Orsara di Puglia, a quel tempo segretario provinciale del sindacato edili della CGIL.
La capacità non solo di stare dentro un grande movimento di lotta, ma anche di esserne parte dirigente vale a Di Stefano la candidatura nel 1970 al consiglio regionale della Puglia. Nicola viene eletto consigliere regionale del PCI insieme a Pasquale Panico, Peppino Papa e Angelo Rossi con molti voti di preferenza per rappresentare soprattutto un territorio negletto, fatto di emarginazione, che chiede di essere rappresentato.
In questa legislatura costituente Di Stefano partecipa sia alla fase di redazione dello Statuto regionale e successivamente viene chiamato a far parte della Commissione consiliare agricoltura.
Al 16° congresso provinciale del PCI è chiamato a far parte della segreteria con l’incarico di responsabile del lavoro di massa e alle elezioni amministrative dello stesso anno viene candidato come capolista di un’alleanza di sinistra al Comune di Rocchetta S. Antonio. Diventato consigliere comunale è eletto sindaco dello stesso comune, rimanendo in carica fino al 1980.
Insieme al lavoro di amministratore comunale Di Stefano partecipa con passione ed entusiasmo anche alla fase di nascita della Comunità Montana.
In questo stesso periodo, Di Stefano è chiamato a dirigere il comitato di zona del Subappennino Meridionale come forma di decentramento della direzione politica federale. E in questo incarico rimarrà per circa sei anni.
Tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta assolve per tre anni con scrupolo e trasparenza il delicato incarico di amministratore della Federazione provinciale del PDS. Dopo questa esperienza si ritira a vita privata, anche perché viene colpito dalla malattia che lo porterà alla morte nel gennaio del 1999, senza mai perdere il gusto per il dibattito, l’attaccamento e la profonda lealtà al suo partito.